giovedì 9 aprile 2020

2020 L'anno del non contatto


Di recente mi è stato chiesto quale fosse per me la parte migliore del mestiere di scrivere. Ho risposto come al solito: che si fa da casa, e che si fa da soli.
Scrivo questo post durante i giorni del lockdown italiano a causa dell’emergenza dovuta al covid-19. Chi legge il post in questi stessi giorni non avrebbe bisogno di questa spiegazione, ma io sono di quelli che continuano a postulare l’esistenza di una vita dopo l’emergenza covid. Quindi specifico, in favore di qualche lettore del futuro.
Schermi bianchi, sale vuote
Siamo chiusi in casa per evitare che il contagio si diffonda e il nostro sistema sanitario collassi (o finisca di collassare in questo momento, fate voi). Per me non è cambiato molto, visto che in casa ci stavo sempre anche prima, per tanti, come ad esempio tutti o quasi gli altri lavoratori del mondo dello spettacolo, è cambiato tutto.
E’ interessante come questa emergenza – che non è una guerra, se non altro per il fatto che la guerra è sempre sbagliata – stia schiacciando tanti di noi sul tempo presente. Un eterno presente fatto di guai, morte, insonnie, ansie, claustrofobia, paure, file per il supermercato, mascherine, propaganda, manipolazione, solitudine, mancanza di solitudine, statistiche.
Ci vivevamo anche prima in un eterno presente, ma avevamo almeno l’illusione del futuro. Oggi il futuro esiste solo come ipotesi meramente teorica. In teoria, il futuro dovrebbe esistere. In pratica, non lo sappiamo.
Nell’ambito delle arti performative e audiovisive, i discorsi che riguardano il futuro sono piuttosto frequenti in queste settimane. Per semplificare, in pratica facciamo “come se”.
Sviluppiamo un progetto. Scriviamo un copione. Riscriviamo un copione. Prepariamo un bando. “Come se” ci fosse un futuro in cui quel copione verrà realizzato, ci sarà un casting, verrà messa in piedi una troupe, ci sarà un pubblico seduto in una sala buia a guardare un’opera proiettata su un telone bianco o a godersi dei simpatici guasconi che saltellano su un palco.
Ma nessuno può dirci se e quando e come questo si avvererà. Se prima vivevamo in un settore molto instabile, oggi viviamo in un settore ipotetico. E’ un’ipotesi, il nostro lavoro. Anche il mio, che continuo a scrivere, dunque a lavorare, ma non so bene per cosa, per chi, per quando.
La parola d’ordine è diventata “distanziamento”. Evito di aggiungerci l’aggettivo “sociale”. Distanziamento basta e avanza.
Nel discorso semplificato della politica, il distanziamento oggi è la strada per tornare alla normalità domani. Anche se la normalità di domani probabilmente non assomiglierà a quella di ieri, aggiungono.