sabato 16 aprile 2016

L'ETERNO RITORNO (considerazioni perplesse sulla rinascita del cinema di genere in Italia)

In Italia si ha sempre nostalgia di qualcosa.
La critica nostrana (di sottobosco o mainstream) da tempo auspica un “ritorno al cinema di genere”. Film recenti hanno ritirato fuori l’argomento. Ma stiamo davvero tornando al cinema di genere? E di cosa parliamo quando parliamo di genere?
Ho sempre pensato che il cinema di genere abbia a che fare tanto con le caratteristiche narrative dei film quanto con le aspettative del pubblico.
In un certo senso si potrebbe dire che non può esistere un film definito di genere senza un sistema più o meno articolato di aspettative da parte del pubblico.
Quando ci si aggira in libreria e si va nella sezione “gialli”, ad esempio, ci si aspetta di trovare romanzi in cui ci sia un’indagine, delitti o crimini, atmosfere specifiche, una scrittura il più delle volte asciutta, ecc.
Supponiamo che esista un paese tropicale in cui nessuno ha mai letto un giallo. Supponiamo che arrivi una spedizione di buoni colonialisti  con un’Agatha Christie a caso. Supponiamo che nel paese in questione siano selvaggi, ma buoni lettori. Nessuno si aspetterà niente di particolare dal libro: il testo verrà percepito come un prototipo, oppure riportato alle conoscenze locali.
Un giallo dal punto di vista di chi conosce già il genere, un libro e basta dal punto di vista di ipotetici lettori digiuni.
Ovviamente non è un caso molto realistico. Ma in quella situazione-limite, questo è il punto, il giallo della Christie non verrebbe letto come se fosse un libro di genere.


Il pubblico percepisce il genere a seconda delle proprie aspettative.
“Andiamo a vedere un thriller!” vuol dire che lo spettatore in questione ne ha visti un certo numero, ha delle aspettative, ed è in grado di riconoscerne i codici a prima vista.
Inoltre, ad ogni esemplare, lo spettatore si attende qualche forma di infrazione alla regola o qualche novità – altrimenti si ha la sensazione di deja-vu e nel giro di qualche film il genere si esaurisce. Codici ripetuti e leggere infrazioni alla regola. Il genere, per semplificare, funziona così.

Dunque, che senso ha parlare di “ritorno al genere”? La domanda è questa: se oggi, nel sistema italiano, faccio un poliziottesco ispirandomi a Di Leo e compagnia sparante, e magari lo faccio anche bene - che cosa sto facendo? Un film di genere?
Dal punto di vista delle aspettative questo potrebbe essere interpretato in senso depressivo. Se non c’è trippa per gatti, meglio rassegnarsi. Non si può fare la fantascienza in Italia, visto che non si è mai fatta (mai è un concetto relativo, nel mondo del cinema). Che è un’ottima scusa per non rischiare mai (in senso non relativo).
Dribbliamo subito il rischio depressione. Diciamolo: si può benissimo fare fantascienza italiana, ma si deve sapere che si va incontro ad un pubblico che non ha aspettative organizzate riguardo ad una storia italiana di questo tipo.
Il che vuol dire che si starebbe facendo un prototipo. Che non è neanche una cosa brutta (anche se suona vagamente industriale, vade retro).
Parlare di ritorno al cinema di genere, intendendo il genere come strettamente connesso con le aspettative del pubblico, potrebbe quindi suonare come un’assurdità di stampo iper-volontaristico. Il cinema di genere è bello, dunque facciamolo! E chi se ne importa del pubblico.

E se ci dimenticassimo delle aspettative? Se per un attimo facessimo finta che la massa non-critica non conta?
Proviamo. Consideriamo l’espressione “film di genere” come tutta schiacciata sulle connotazioni interne al testo. Scordiamoci le aspettative del pubblico. Parliamo solo delle storie e delle caratteristiche narrative.
In questo caso ritornare al genere significherebbe ritornare ad un racconto popolare sano, robusto, vitale, tutto di trama, come quello che si faceva nei nostri anni ’70, da contrapporre al cinema d’autore, esangue, minimalista, ombelicale, come quello che si faceva… be’, lasciamo perdere, come quello che si fa da un sacco di tempo.
C’è solo un piccolo problema, a riguardo. E cioè che se parliamo solo delle caratteristiche narrative, be’, tutti i film appartengono a un genere.
Se consideriamo il testo e lasciamo da parte il pubblico, parlare di genere è solo una questione di classificazione. Definiamo delle categorie e le applichiamo alla realtà.
La dolce vita è una tragedia satirica. Visconti ha fatto melodrammi. Pasolini film satirici o tragedie. Persino gli autorini degli anni ’90, bene o male, volenti o nolenti, raccontavano storie che potevano rientrare in un genere narrativo. Il genere è solo un’istanza classificatoria: tutto ci rientra, per definizione – anche quando ci rientra a forza.
Ragionando in questi termini, ovviamente la stessa dicotomia tra film di genere e film d’autore non avrebbe molto senso.
Ma, di nuovo, se tutti i film appartengono ad un genere, di cosa parliamo quando parliamo di ritorno ai film di genere? Forse c’è una questione di termini e di semplificazioni.

Eccoci ad un punto interessante. Probabilmente con l’espressione “torniamo ai film di genere” si sta intendendo un’altra cosa. Qualcosa anche di piuttosto sano. Parliamo di genere ma in realtà stiamo dicendo: “torniamo a fare del cinema che tenga conto del pubblico”.
Che sarebbe un ottimo consiglio. Se non fosse che in Italia moriremo crociani, quindi dire “facciamo film per il pubblico” non suona bene. Mentre “torniamo al poliziottesco” introduce quella notazione snob e sottoculturale che salva dagli strali degli amici del circolino sotto casa.

Oggi si è detto che film come Lo chiamavano Jeeg Robot o Veloce come il vento segnano una rinascita del film di genere. Ma che aspettative aveva il pubblico andando a vedere Jeeg, ad esempio? E cosa ha trovato?
Il richiamo al supereroe italiano – richiamo brillante ed efficace – potrebbe dirci che siano state attirate le aspettative di un film di supereroi. Ma io ho molti dubbi che il pubblico, andando a vedere Jeeg, si aspettasse di vedere un film di supereroi come quelli Marvel (tranne equivoci). Piuttosto si aspettava qualcosa di nuovo, qualcosa che non c’era e che ora c’è. Un prototipo, insomma. Condito da alcuni codici narrativi che in parte hanno a che fare col genere.
Basta vedere il film per rendersi conto che con i film di supereroi attuali, Jeeg ha ben poco a che spartire. Un elemento su tutti: la violenza. I film di supereroi Marvel possono essere visti da un ragazzino. Jeeg non è tarato su un pubblico under 14 (vogliamo dire under 11? Vedete voi).
Il genere di riferimento ha qualcosa che a che vedere con la TV più che con il cinema (con la TV migliore, sia chiaro). La gran parte della narrazione richiama prodotti come “Gomorra” o “Romanzo criminale”, entrambi nelle loro declinazioni TV. L’immaginario è quello lì.
Ed è stata un’ottima scelta. Perché l’immaginario del pubblico si forma oggi più sui seriali che sui colpi secchi del cinema. E in Italia anche. E i prodotti seriali italiani (e riconoscibili come italiani) di maggiore successo e pervasione di immaginario sono stati quei due.
Su questi elementi è avvenuto l’innesto del supereroe. E ha funzionato. Creando non un film di genere (che genere sarebbe?), ma un prototipo interessante e vitale.

La verità, almeno così la vedo io, è che non abbiamo mai abbandonato il cinema di genere. Le commedie con comici televisivi degli ultimi decenni sono cinema di genere. E chi se ne importa il giudizio individuale che possiamo dare a riguardo. Forse il problema è che per anni la commedia con comici TV è stato l’unico genere italiano che ha portato gente al cinema (ma tanta gente, ragazzi! Facciamocene una ragione). Ma anche questo è giudizio, valutazione; non cambia il quadro.
Ed eccoci arrivati al succo. Il richiamo al “ritorno al cinema di genere” mi sembra molto viziato dalla nostalgia. La nostalgia che una generazione di critici prova per i film italiani degli anni ’60 e ’70; critici professionisti e critici per vocazione, i quali vorrebbero tornare agli antichi fasti, e lo dicono forte e chiaro, come se solo citare una stagione felice possa innescare meccanismi virtuosi produzione-pubblico.
A mio modo di vedere, in questa fase non si può far altro che produrre prototipi, perché esistono pochi sistemi di aspettative articolate da parte del pubblico italiano riguardanti il cinema italiano. Prototipi che riescano a portare la gente al cinema. Prototipi pensati per il pubblico.
Se ne stanno facendo, qualcuno va bene, qualcuno meno. Ora continuiamo a farne, per favore. Poi il pubblico ci dirà cosa lo stufa dopo un esemplare, e cosa no.

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